Ricorso della Regione Lombardia (C.F.  80050050154),  in  persona
del Presidente della Giunta Regionale p.t.,  on.  Roberto  Formigoni,
autorizzato con delibera  di  Giunta  Regionale  n.  IX/3053  del  22
febbraio 2012 (doc. 1),  rappresentata  e  difesa,  congiuntamente  e
disgiuntamente,   dagli   avv.ti   prof.   Fabio    Cintioli    (C.F.
CNTFBA62M23F158G   -   fabiocintioli@ordineavvocatiroma.org   -   fax
06.84551201)   e   Antonella   Forloni   (C.F.   FRLNNL56E71H264K   -
antonella_forloni@pec.regione.lombardia.it), giusta procura  speciale
a margine del presente atto ed elettivamente  domiciliata  presso  lo
studio del primo, in Roma, via Salaria n. 259; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore (C.F.
80188230587), domiciliato per  la  carica  in  Roma,  Palazzo  Chigi,
Piazza  Colonna  n.  370  per  la  dichiarazione  di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 31 comma  1  del  decreto-legge  6  dicembre
2011, n. 201 recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita'
e il consolidamento dei conti pubblici» convertito con  modificazioni
nella legge 22 dicembre  2011,  n.  214,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale 27 dicembre 2011, n. 300, per violazione dell'articolo 117,
commi 1, 2, 3, 4 e 6 della Costituzione 
 
                                Fatto 
 
    Nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27  dicembre  2011  e'  stata
pubblicata la legge 22 dicembre 2011, n. 214 di conversione in legge,
con modificazioni, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante
disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e  il  consolidamento
dei conti pubblici. 
    L'art. 31 del  d.l.  201/2011  rubricato  «esercizi  commerciali,
modifica l'art. 3, comma 1, lett. d-bis del d.l. 4 luglio 2006 n. 223
conv. con modificazioni in legge n. 248/2006, sopprimendo  le  parole
«in via sperimentale» e le parole «ubicato nei comuni  inclusi  negli
elenchi regionali delle localita' turistiche o di citta' d'arte». 
    L'art. 3 del d.l. 223/2006, rubricato  «Regole  di  tutela  della
concorrenza nel settore della distribuzione commerciale», al comma 1,
lett. d-bis, prima delle predette modifiche, stabiliva: 
        «... le attivita' commerciali, come individuate  dal  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di  alimenti
e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: 
          ... d-bis), in via sperimentale, il rispetto degli orari di
apertura  e  di  chiusura,  l'obbligo  della  chiusura  domenicale  e
festiva,  nonche'   quello   della   mezza   giornata   di   chiusura
infrasettimanale dell'esercizio  ubicato  nei  comuni  inclusi  negli
elenchi  regionali  delle  localita'  turistiche  o  citta'  d'arte,»
(evidenziato aggiunto). 
    A seguito delle modifiche apportate dal citato art. 31,  comma  1
del d.l. 201/2011, la norma e' cosi' riformulata: 
        «... le attivita' commerciali, come individuate  dal  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di  alimenti
e bevande, sono  svolte  senza  i  seguenti  limiti  e  prescrizioni:
...d-bis)  il  rispetto  degli  orari  di  apertura  e  di  chiusura,
l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche'  quello  della
mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio». 
    La Regione Lombardia, come sopra rappresentata e  difesa,  rileva
che il predetto art. 31, comma 1, e'  costituzionalmente  illegittimo
ed invasivo delle competenze regionali per i seguenti motivi. 
 
                               Diritto 
 
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 31, comma 1 d.l.  201/2011
per violazione dell'art. 117, comma 1 e 4 della Costituzione. 
    1. L'art. 31, comma 1 - nel modificare l'art. 3, comma  1,  lett.
d-bis, d.l. 223/2006 - estende a tutti gli esercizi commerciali e  di
somministrazione di alimenti e  bevande,  a  prescindere  dalla  loro
ubicazione in comuni inclusi negli elenchi regionali delle  localita'
turistiche o citta' d'arte, la prevista  eliminazione  di  limiti  di
orari di  apertura  e  chiusura,  nonche'  di  obblighi  di  chiusura
domenicale, festiva ed infrasettimanale. Pertanto, la norma  tende  a
stabilire una regola assoluta secondo la  quale  sono  eliminati  per
tutti gli esercizi commerciali i vincoli di orario e gli obblighi  di
chiusura, quale che sia il  contesto  territoriale,  l'ubicazione  ed
anche le contingenti esigenze di interesse pubblico. 
    La disciplina degli orari degli esercizi commerciali, secondo  la
giurisprudenza di Codesta Corte, si ascrive alla materia  «commercio»
(sentenza n. 350 del 2008 e n. 288 del 2010,  riferita  proprio  alla
allora vigente legge regionale della Lombardia sul commercio). 
    A seguito  della  riforma  del  titolo  V  della  Costituzione  e
dell'inversione dei criteri di  riparto  delle  potesta'  legislative
statali e regionali, delineate all'art. 117, comma 2, Cost.,  Codesta
Corte ha chiarito che  la  materia  del  «commercio»  «rientra  nella
competenza esclusiva residuale delle regioni, ai sensi del  4°  comma
dell'art. 117 Cost.» (sentenze n. 1 del 2004; ord. n. 199  del  2006;
n. 64/2007, n. 288/2010 cit., n. 247 del 2010). In tale occasione, la
Corte ha in particolare rilevato che il d.lgs. 31 marzo 1998  n.  114
(recante  la  riforma  della  disciplina  relativa  al  settore   del
commercio)  trova  applicazione  nei  confronti  delle  Regioni  solo
qualora le stesse non abbiano emanato una propria legislazione  nella
suddetta materia (ordinanza n. 199 del 2006, con riferimento  all'ora
vigente legge della Regione Lombardia n. 22/2000, in materia di orari
di esercizi commerciali). 
    Ebbene, il legislatore statale, con la norma censurata,  parrebbe
impedire l'emanazione di qualsiasi normativa sugli orari di tutti gli
esercizi  commerciali  (in  precedenza  tale   liberalizzazione   era
prevista solo per gli  esercizi  ubicati  nei  comuni  inclusi  negli
elenchi regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte),  senza
prevedere alcuna eccezione o limite a tutela  di  interessi  pubblici
preminenti. In tal modo, la norma si pone in contrasto con i principi
generali  dell'ordinamento   comunitario   in   materia   di   libera
circolazione dei servizi, nonche'  con  la  disciplina  di  cui  alla
Direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkenstein) che, pur  dettando
norme  in  favore  della  massima  liberalizzazione  delle  attivita'
economiche, contempla invece tali eccezioni. 
    Ne deriva dunque un contrasto della norma statale con l'art. 117,
comma  1  Cost.  in  quanto  Codesta  Corte  considera  le  direttive
comunitarie come norme interposte atte ad integrare il parametro  per
la valutazione di conformita' della  normativa  statale  o  regionale
all'art. 117, comma 1 (sentenza n. 129/2006). 
    In ordine alla violazione dell'art. 117, comma 1, si osserva  che
la  Direttiva,  nel  prevedere  disposizioni  intese   alla   massima
liberalizzazione dei servizi, fa comunque salva  la  possibilita'  di
introdurre  limitazioni  all'esercizio  dell'attivita'  economica   a
tutela di motivi imperativi di interesse generale (si v. considerando
n. 40 della Direttiva). 
    I  motivi  imperativi  di  interesse  generale,  definiti   dalla
legislazione interna attuativa della Direttiva  (d.lgs.  n.  59/2010)
come  «ragioni  di  pubblico  interesse»,  attengono,  tra   l'altro,
all'ordine  pubblico,  alla   pubblica   sicurezza,   all'incolumita'
pubblica, alla protezione dell'ambiente urbano, alla quiete pubblica,
compreso l'assetto territoriale nell'ambito urbano. 
    Tali motivi imperativi, secondo la  disciplina  della  Direttiva,
giustificano restrizioni alle attivita' economiche liberalizzate.  Ed
infatti, ai sensi della Direttiva (artt. 11, comma 1,  lett.  e,  12,
comma 1, 13, comma 1, 20, comma 1): 
        i) l'esercizio  di  una  attivita'  di  servizi  puo'  essere
subordinata a criteri di programmazione economica e/o  alla  verifica
dell'esistenza di una domanda di mercato ove si  tratti  di  tutelare
motivi imperativi di interesse generale; 
        ii) la previsione di una autorizzazione  e'  giustificata  da
motivi imperativi di interesse generale. 
    Il legislatore comunitario, dunque, pur manifestando  una  decisa
contrarieta'  verso  fenomeni  di  programmazione/pianificazione  dei
servizi, li ritiene comunque ammissibili  in  presenza  dei  predetti
motivi imperativi di interesse generale. 
    Dunque la normativa comunitaria,  pur  ponendosi  l'obiettivo  di
eliminare gli ostacoli e  i  vincoli  all'esercizio  di  un'attivita'
economica  ammette   deroghe,   a   garanzia   di   interessi   della
collettivita' di rango primario. 
    Su questa linea  la  Corte  di  Giustizia  ha  ritenuto  che  «le
discipline nazionali che limitano l'apertura domenicale  di  esercizi
commerciali  costituiscono  l'espressione   di   determinate   scelte
rispondenti alle peculiarita' socio culturali nazionali e  regionali»
e che spetta agli stati membri effettuare queste scelte,  attenendosi
alle prescrizioni del diritto  comunitario.  E  le  prescrizioni  del
diritto   comunitario   prevedono   sempre   un   bilanciamento   tra
liberalizzazione  ed  i  predetti  motivi  imperativi  di   interesse
generale (Corte Giustizia CE 20 giugno 1996 C-418/93). 
    Questo bilanciamento e' del tutto  assente  nella  norma  statale
censurata (mentre e' previsto con  riferimento  alla  disciplina  che
riguarda l'apertura di nuovi esercizi commerciali, art. 31, comma 2).
In altri termini, la liberalizzazione degli  orari  non  soffre,  per
effetto  della  normativa  introdotta   dal   decreto-legge,   alcuna
limitazione e pertanto si pone in contrasto con l'art. 117,  comma  1
cost.  Infatti,  il  legislatore  statale  vorrebbe  fosse   impedita
qualsiasi norma che possa imporre un limite all'apertura festiva  e/o
notturna, ancorche'  limitatissimo,  ancorche'  circoscritto  ad  una
parte molto ristretta del territorio di un dato  comune,  ad  esempio
per motivi di igiene, pubblica sicurezza, o di quiete pubblica. 
    2. Il predetto contrasto si risolve altresi' in una  immediata  e
diretta compressione delle potesta' legislative  regionali  residuali
in materia di commercio. 
    La potesta' legislativa regionale,  per  effetto  della  completa
liberalizzazione degli orari stabilita dall'art. 31, comma  1,  viene
di fatto «azzerata». La norma statale  viola  pertanto  anche  l'art.
117, comma 4 Cost. 
    E difatti, per effetto  della  modifica  introdotta  dalla  norma
statale, il legislatore regionale si vede sottratta ogni possibilita'
di intervento nella disciplina degli orari degli esercizi commerciali
(gia' esercitata dalla Regione con l.r. 2 febbraio 2010 n. 6, recante
il TU sul commercio, all'art. 103), a tutela  di  interessi  pubblici
che l'ordinamento  comunitario  in  primis,  ma  anche  l'ordinamento
nazionale, ha sempre tutelato. 
    Cio' appare in contrasto  anche  con  l'orientamento  di  Codesta
Corte, formatosi sulle normative regionali in materia  di  commercio,
che ha comunque  riconosciuto  la  possibilita'  per  il  legislatore
regionale di tener conto, nel disciplinare gli orari  di  chiusura  e
apertura degli esercizi commerciali, di particolari  esigenze  legate
alla tutela di interessi pubblici. 
    Al riguardo, appare  utile  ricordare  le  statuizioni  contenute
nella citata  sentenza  n.  288  del  2010,  peraltro  relative  alla
legislazione della Regione Lombardia  in  materia  di  commercio.  La
Corte ha evidenziato l'assenza di  contrasto  della  legge  regionale
«con gli obiettivi delle norme statali che disciplinano  il  mercato,
tutelano e promuovono la concorrenza», producendo  altresi'  «effetti
pro-concorrenziali, sia pure in via marginale e indiretta, in  quanto
evita che vi possano  essere  distorsioni  determinate  da  orari  di
apertura significativamente diversificati, in ambito  regionale,  nei
confronti di esercizi commerciali omogenei». 
    Nella stessa sentenza  si  riconosce  la  legittimita'  di  leggi
regionali che operano delle differenziazioni,  «anche  con  specifico
riferimento    alla    dimensione    dell'attivita'    dell'esercente
commerciale, al fine di tutelare la  piccola  e  media  impresa».  In
particolare si e' ritenuto legittimo tutelare ...  «  "l'esigenza  di
interesse generale ... di riconoscimento e valorizzazione  del  ruolo
delle  piccole  e  medie  imprese  gia'   operanti   sul   territorio
regionale''  (sentenza  n.  64  del  2007»...  riferita  alla   legge
dell'Umbria sul commercio). 
    Anche secondo la Corte, dunque, la liberalizzazione in materia di
esercizi commerciali trova comunque un limite in interessi  generali,
cui si riferisce come visto la Direttiva comunitaria. 
    La  norma  censurata  liberalizza  senza  ammettere  eccezioni  o
deroghe. E dunque la limitazione degli orari di apertura, ad esempio,
di  esercizi  commerciali  in  determinati  zone   cittadine   o   in
determinati orari (ad es.  notturni)  con  riferimento  a  specifiche
esigenze di tutela dell'ordine pubblico, della quiete pubblica, della
sicurezza, o di vita e lavoro della collettivita' locale,  non  trova
piu' spazio per effetto della legge statale. 
    Viene meno anche la possibilita' per il legislatore regionale  di
realizzare una ordinata distribuzione sul territorio  e  nel  tessuto
urbano delle attivita' imprenditoriali, nel  rispetto,  tra  l'altro,
del contesto sociale e della tutela dei soggetti economicamente  piu'
deboli. 
    Il dedotto contrasto  con  l'ordinamento  comunitario  e  con  la
Direttiva servizi si traduce nella violazione dell'art. 117, comma  1
cost. La violazione del comma 1 del 117 determina la violazione anche
del  comma  4  Cost.,  in  quanto  viene  in  sostanza  soppressa  la
competenza regionale in materia di  commercio  che,  come  detto,  e'
residuale. 
    3. In subordine, considerato l'eccepito contrasto della normativa
statale  con  i  principi  dell'ordinamento  comunitario  e  con   la
Direttiva citata, si chiede a Codesta Corte, come giudice  di  ultima
istanza, di sollevare una questione pregiudiziale dinanzi alla  Corte
di Giustizia ai sensi dell'art. 267 del TFUE. 
    Cio' al fine di chiarire: se la citata Direttiva  in  materia  di
servizi debba essere interpretata nel senso che, con riferimento alle
attivita' economiche liberalizzate, osti ad una  normativa  nazionale
che escluda totalmente un intervento  diretto  ad  introdurre  limiti
all'esercizio delle predette attivita', anche laddove vi siano motivi
imperativi di interesse generale. 
    La possibilita' di  sollevare  una  questione  pregiudiziale  nel
giudizio di costituzionalita' in via principale e' stata riconosciuta
da Codesta Corte quando la  stessa  e'  chiamata  ad  applicare  come
parametro di costituzionalita' il diritto comunitario (v. sentenza n.
102/2008). 
II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 31, comma 1 d.l. 201/2011
per violazione dell'art. 117, commi 2, 3 e 4 della Costituzione. 
    1. L'art. 31 appare illegittimo anche sotto altro profilo. 
    Il legislatore statale, con la norma  censurata,  ha  ecceduto  i
limiti della propria competenza esclusiva in materia di tutela  della
concorrenza, di cui all'art. 117, comma 2 lett. e) Cost., ingerendosi
nella competenza residuale della Regione in materia di commercio. 
    Per comprendere il punto occorre ricordare che Codesta Corte, con
giurisprudenza costante (sentenze nn.  401/2007,  175/2005,  14/2004,
272/2004) ha riconosciuto alla materia della tutela della concorrenza
il carattere della «trasversalita'», da intendersi come attitudine ad
intervenire in piu' settori  anche  molto  diversi  dell'ordinamento,
influendo cosi' sulle competenze legislative esclusive o  concorrenti
regionali. 
    La trasversalita', pertanto, ben  puo'  toccare  la  materia  del
commercio ed e'  certamente  possibile  che  il  legislatore  statale
intervenga «in nome» della concorrenza in tale ambito. 
    La giurisprudenza di questa Corte ha piu' volte  affermato  pero'
che,  proprio  in  considerazione  della  sua  natura  trasversale  e
funzionale, la tutela della concorrenza non e' «illimitata». 
    In particolare, si e' riconosciuto (sentenza n. 430 del 2007) che
«la "tutela della concorrenza'', proprio in quanto ha ad  oggetto  la
disciplina  dei  mercati  di  riferimento  di  attivita'   economiche
molteplici e diverse, non e' una "materia di estensione  certa'',  ma
presenta i tratti "di una  funzione  esercitabile  sui  piu'  diversi
oggetti'' ed e' configurabile come "trasversale'' (da ultimo,  e  per
tutte, sentenza n. 401 del 2007), caratterizzata da una portata ampia
(sentenza n. 80 del 2006)». 
    Dunque, per la capacita' di questa materia di influire  anche  su
quelle di competenza regionale, si e'  ravvisata  la  necessita'  «di
garantire  che  la  riserva  allo  Stato  della  predetta  competenza
trasversale non vada oltre la "tutela della concorrenza''  e  sia  in
sintonia con  l'ampliamento  delle  attribuzioni  regionali  disposto
dalla revisione del titolo V della parte seconda della  Costituzione»
(sentenze n. 175 del 2005; n. 272 del 2004; n. 14 del 2004). 
    Ne consegue che la competenza statale  esclusiva  in  materia  di
tutela della concorrenza non puo' mai escludere del tutto la potesta'
legislativa regionale in materie di competenza della Regione, ma deve
essere intrinsecamente contenuta e limitata. 
    L'intervento del legislatore statale che voglia assicurare  nella
materia  del  commercio  la  tutela  della  concorrenza,   non   puo'
legittimamente determinare  un  sostanziale  e  completo  svuotamento
delle competenze regionali in uno dei segmenti principali di siffatta
materia: quello che riguarda orari e giorni di  apertura.  La  natura
trasversale  della  materia  «tutela   della   concorrenza»   secondo
l'insegnamento di  codesta  Corte,  deve  quindi  esplicarsi  secondo
rigorosi limiti, al fine di non vanificare le competenze regionali. 
    Il legislatore statale,  nel  caso  di  specie,  eliminando  ogni
vincolo di orario  per  gli  esercizi  commerciali  (e  senza  alcuna
deroga, come visto), sconfina dai limiti della  potesta'  legislativa
esclusiva in materia di concorrenza,  in  violazione  dell'art.  117,
comma 2, lett. e), in quanto  in  tal  modo  «sopprime»  la  potesta'
legislativa regionale residuale in materia. 
    Per quanto osservato, l'art. 31, comma 1 risulta incostituzionale
per violazione dell'art. 117, comma 2 lett. e) e del comma 4 Cost. 
    2. Il legislatore statale,  inoltre,  eccedendo  i  limiti  della
propria potesta' legislativa in materia di concorrenza, con la  norma
in esame si ingerisce  non  solo  nella  competenza  residuale  della
Regione in materia di commercio, ma anche nella competenza  regionale
concorrente in materia di  «governo  del  territorio»  in  quanto  la
definizione degli orari e delle aperture degli  esercizi  commerciali
e'  anche  legata  allo  specifico   assetto   territoriale   e,   in
particolare, urbano. 
    La l.r. 2 febbraio 2010 n. 6, recante il Testo unico delle  leggi
regionali  in  materia  di  commercio  e  fiere,  all'art.  103,  nel
prevedere disposzioni  di  regolazione  degli  orari  di  apertura  e
chiusura degli esercizi commerciali differenzia infatti  la  predetta
regolazione degli orari proprio in  rapporto  al  territorio  (centri
storici ecc.). 
    L'art. 31, comma 1 risulta pertanto  incostituzionale  anche  per
violazione dell'art. 117, comma 2 lett. e) e del comma  3  Cost.  con
riferimento alla materia del governo del territorio. 
III.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  31,  comma  1   d.l.
201/2011  per  violazione  dell'art.  117,  commi   4   e   6   della
Costituzione. 
    La disciplina degli orari di apertura e chiusura  degli  esercizi
commerciali, come detto, rientra nella materia del commercio, che  la
Corte ha riconosciuto  essere  di  competenza  legislativa  residuale
delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, comma 4 Cost. 
    Nelle  materie  in  cui  la  Regione  ha  competenza  legislativa
concorrente  e  residuale,  alla  stessa  spetta  anche  la  potesta'
regolamentare, ai sensi dell'art. 117, comma 6. I comuni, le province
e le citta' metropolitane, ai sensi del citato comma 6, hanno a  loro
volta   potesta'   regolamentare   in    ordine    alla    disciplina
dell'organizzazione  e  dello   svolgimento   delle   funzioni   loro
attribuite. 
    La  norma  statale  censurata,   ingerendosi   nella   competenza
legislativa regionale in materia di commercio, ha  percio'  eliminato
la possibilita' di esercizio da parte della  Regione  della  relativa
potesta' regolamentare, in violazione del citato art.  117,  comma  6
Cost. 
    Come visto, la completa liberalizzazione degli orari di  apertura
e  chiusura  degli  esercizi  commerciali  priva   in   sostanza   la
legislazione regionale del suo  oggetto,  risultando  automaticamente
abrogate le norme regionali  di  cui  alla  1.r.  n.  6/2010  TU  sul
commercio cit. che contengono la disciplina dei predetti orari  (art.
103). 
    La norma statale viene di conseguenza  ad  incidere  anche  sulla
competenza regolamentare dei Comuni in materia. 
    Nella Regione Lombardia la 1.r. n. 6/2010  recante  il  T.U.  sul
commercio ha previsto che gli orari  di  apertura  e  chiusura  degli
esercizi commerciali siano stabiliti  sulla  base  delle  indicazioni
della Regione, contenute all'art.  103,  e  sulla  base  dei  criteri
adottati dai comuni, in attuazione delle indicazioni regionali. 
    Per effetto della predetta norma statale, dunque,  essendo  state
svuotate le competenze legislative regionali in materia di orari,  di
riflesso, vengono meno anche le  competenze  regolamentari,  e  della
Regione e  degli  enti  locali.  Questo  accade  in  un  settore  che
tradizionalmente ha sempre visto la  presenza,  oltre  che  di  leggi
regionali,  anche  di  regolamenti  i  quali,  tenendo  conto   delle
specificita'  locali,  hanno  potuto  apprezzare,  e  dovranno  poter
apprezzare anche in futuro, se in  determinati  contesti,  e  per  la
tutela di primari interessi pubblici,  si  debbano  porre  regole  ed
almeno alcuni ragionevoli limiti al principio di una liberalizzazione
«selvaggia» in tema di orari e  giorni  di  chiusura  degli  esercizi
commerciali. 
    Nella materia in oggetto vi e' una  stretta  connessione  tra  le
competenze degli enti regionali e locali, da cui consegue l'interesse
della Regione a lamentare la lesione anche  delle  competenze  locali
(Corte cost. sentenza n. 196/2004). 
    Si deduce pertanto l'incostituzionalita' della  norma  anche  per
violazione dell'art. 117, comma 6 e comma 4 Cost.